Giusi Savarino ha già ricoperto, nel corso della precedente legislatura, l’incarico di presidente della Commissione Territorio e Ambiente dell’Assemblea regionale: non potrà essere più impalpabile di Elena Pagana, che si è dimessa giovedì dal suo incarico d’assessore. Dimissioni dettate dall’elezione del marito, Ruggero Razza, all’Europarlamento; e dall’esigenza dei patrioti di tenere fede all’impegno con la Savarino, già sacrificata nell’autunno 2022, quando il suo nome e quello dell’on. Giorgio Assenza (poi “ricompensato” con la guida del gruppo parlamentare) furono stroncati da Roma per concedere la scena ai primi due assessori-non-deputati: Scarpinato e, appunto, la Pagana.
L’esperienza dell’ex grillina all’assessorato all’Ambiente comincia dallo scarno risultato ottenuto alle urne (circa 1.500 preferenze, lontanissima dai due eletti in provincia di Enna: l’ex sindaco di Troina, Fabio Venezia, e la forzista Luisa Lantieri) e, facendo un passo indietro, al cambio di casacca – dai 5 Stelle a Sicilia Attiva, una costola di Diventerà Bellissima – sintomo di un ideale e di un’ideologia un po’ aleatoria. Nei due anni da assessore non ha mai lasciato traccia: s’è fatta sfilare la guida della Cts, la commissione tecnico-specialistica, che lei aveva affidato al prof. Trombino (e che Schifani ha ri-assegnato al super-consulente Armao); ed è finita su tutti i giornali a causa delle pubbliche accuse del presidente della Regione, destinatario anche il collega Roberto Di Mauro, per aver gestito malissimo la temporanea chiusura della discarica di Lentini. Negli ultimi giorni, dopo aver osservato con preoccupante distacco la triste fine del lago di Pergusa, ha salutato la nascita della fondazione ad esso dedicata (in vita o in morte?) e subito destinataria di un contributo straordinario da 250 mila euro: una delle tante mance assegnate dal parlamento. Per Pagana l’obiettivo è “andare oltre la gestione emergenziale e assicurare una tutela costante e attenta di questo prezioso patrimonio naturale, consapevoli delle sfide poste dai cambiamenti climatici e dalle pressioni antropiche”.
Peccato che non potrà occuparsene direttamente. La sua esperienza è già finita e da parte di Schifani neppure un misero grazie. Solo una nota stringata da parte dei colleghi di Fratelli d’Italia: “Elena ha svolto bene il ruolo di assessore, dimostrando grande professionalità. A lei vanno i nostri complimenti per il positivo bilancio del suo mandato e un sincero ringraziamento per la costante e proficua interlocuzione che ha avuto con il gruppo all’Ars e con il partito”. Non è certo la Pagana a rappresentare – plasticamente – l’evoluzione di una classe dirigente che affonda i propri artigli nell’oceano di consenso generato negli ultimi anni da Giorgia Meloni. E che sguazza nel mare della destra cercando di arraffare qualche incarico, ma palesando, al contempo, limiti strutturali sotto il profilo politico e dell’amministrazione.
In questi mesi di profonda siccità sono venute a galla le lacune di un uomo di destra che in Sicilia se ne vedono pochi: quel Nello Musumeci che a furia di non far toccare palla a nessuno, finì per dover rinunciare al secondo mandato a Palazzo d’Orleans. Oggi si sta prendendo le sue rivincite – vedi gli attacchi a Schifani sulla fiction di Stromboli o sulla gestione dei fondi destinati alla siccità – ma ciò che colpisce dell’ex governatore è la memoria corta. A furia di combattere re Renato, dimentica di essere stato lui l’artefice dello stallo. Di non aver toccato palla – lui per primo – sulle numerose criticità che hanno prosciugato la Sicilia: Musumeci non ha riparato una conduttura, non ha riattivato i dissalatori (che dal 2014 non sono altro che un ammasso di ferraglie), né ha individuato nuovi impianti di sollevamento per l’irrigazione dei campi; non ha fatto i termovalorizzatori (nonostante avesse provato a indire una manifestazione d’interesse); non ha rafforzato l’organico del Corpo Forestale né attivato la catena della prevenzione che servirebbe a contrastare gli incendi. Ha solo concesso l’onore della ribalta ad alcuni personaggi dalle dubbie capacità morali.
Impossibile non fare riferimento al Balilla. Basterebbe il dato dei 24 milioni scippati agli albergatori, nell’ambito del programma SeeSicily, e finiti nelle tasche dei grandi gruppi editoriali sotto la voce “comunicazione”; o i 20 milioni di sprechi certificati dalla Commissione europea, che dopo aver preteso la restituzione della metà della cifra, ha tagliato i finanziamenti sulla restante parte (facendo venir meno la copertura finanziaria); o i due anni con cui ha tenuto a bagnomaria l’Orchestra Sinfonica Siciliana, affidandola a un uomo della sua scuderia, perché facesse gli interessi di un partito che ha scalato, progressivamente, anche la cultura. Chiunque lo abbia contestato s’è guadagnato l’appellativo di “delatore”. Chiunque abbia provato a farlo riflettere – sui metodi almeno – è stato “calpestato” con ignominia. E’ toccato persino a Schifani dopo lo scandalo di Cannes e dei 3,7 milioni di euro consegnati su un piatto d’argento alla lussemburghese Absolute Blue (provvedimento poi sospeso in autotutela).
Lo stesso Balilla ha allevato un altro paio di patrioti nuovi di zecca. Almeno al governo della Regione. Uno è Francesco Scarpinato, ex consigliere comunale di Palermo, che ha fatto la spola dal Turismo ai Beni culturali ed è ampiamente saldato al potere nonostante la disistima di Schifani; l’altra è Elvira Amata, che se non fossero intervenuti le Procure e i finanzieri, avrebbe chiesto la proroga della “magica” esperienza di SeeSicily (coi soldi dell’Europa sarebbe stato un gioco da ragazzi). Entrambi godono della corazza dell’impunità: qualunque cosa faranno (o non faranno), il partito li sosterrà. Così Scarpinato ha cominciato a inaugurare mostre per fare meno danni possibili; la Amata non si perde un red carpet e alla passione per il turismo ha aggiunto quella per il cinema. Ha fatto da madrina allo splendido evento degli Stati generali, a Ortigia, lo scorso aprile, e attraverso la Film commission continua a finanziare decine di produzioni in giro per l’isola.
Ci sarebbe anche l’assessore Alessandro Aricò, impegnato a duettare col terribile Cas, per riaprire arterie dopo decenni d’attesa (com’è accaduto a Letojanni o sul viadotto Ritiro). Al coraggioso titolare delle Infrastrutture, però, non basta aver fatto il proprio dovere – cioè il minimo sindacale – per smorzare le polemiche dei siciliani che inveiscono contro il traffico e le deviazioni autostradali; si prende pure la briga di festeggiare i gloriosi traguardi.
Un altro che è cresciuto sotto l’ala protettrice di La Russa (al quale Buttanissima ha dedicato un capitolo a parte) e che oggi ha spiccato il volo, fiancheggiato dalla corrente turistica di FdI, è il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno. La sua esperienza da massimo inquilino di Palazzo dei Normanni sarà anche un successo (come l’ha presentata durante la Cerimonia del Ventaglio). Ma un tale spreco di energie e risorse per garantire le mancette ai parlamentari non si vedeva dai tempi della Tabella H e tutto sta avvenendo sotto la sua autorevole guida. L’unico obiettivo dell’Ars è imbastire manovre finanziarie – quest’anno siamo già a tre – che possano garantire salvataggi in extremis (come per i Consorzi di bonifica ridotti a stipendifici, o per la derelitta Ast) o laute prebende di natura clientelare. All’ultimo giro si contano 73 milioni dispersi tra feste e sagre di paese, campi sportivi, squadre di calcio, organi delle chiese, associazioni amiche. Galvagno, che amministra l’aula in maniera equa per non attirarsi fastidiose antipatie, finora ha tradito solo i 5 Stelle, rimandando l’attesissimo dibattito sugli sprechi del turismo. Se ne riparlerà certamente dopo l’estate. L’infelice storia della classe politica di Fratelli d’Italia è destinata a regalare ai siciliani altri capitoli.