Alla fine della fiera Renato Schifani ha deciso che non ci sarà alcun rimpasto. Che la squadra di governo va bene così; che la Sanità è in buone mani e la Formazione e i rifiuti pure. E che l’unico partito uscito a pezzi da questa verifica, o pseudo tale, è proprio quello del presidente, Forza Italia: perde un assessore, Marco Falcone, e ne guadagna mezzo, Alessandro Dagnino. Sarà questo l’unico “stravolgimento” dopo le dimissioni del responsabile dell’Economia, peraltro già privato della delega alla Programmazione (soggetta al controllo del superconsulente Gaetano Armao, nelle vesti di esperto ai fondi e alle questioni extraregionali).
Con l’uscita di Falcone in direzione Bruxelles, Schifani ha dovuto anticipare i tempi del tagliando che aveva promesso all’indomani delle Europee, e adesso rimasto solo “in potenza”. Per l’incarico di via Notarbartolo ha scelto un noto avvocato palermitano, Alessandro Dagnino, lo stesso che lo aiutò a contrastare la sospensione del giudizio di parifica delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti sul rendiconto 2021. Trattasi di tecnico. O, politicamente parlando, di delegittimazione nei confronti di un partito che sperava di poter esprimere un assessore fra i numerosi deputati presenti all’Ars, o fra coloro che ne erano rimasti fuori per i motivi più disparati (da Francesco Cascio a Giovanni La Via, per citarne un paio). Schifani, evidentemente, ha ritenuto che non possedessero le giuste competenze per sedere in giunta. L’idea originaria degli assessori-eletti è stata rimpiazzata, due anni dopo, dagli assessori-tecnici.
Lo era già Giovanna Volo, anche lei scelta “personalmente” dopo la decisione di sottrarre la Sanità al controllo di Micciché o dei partiti. Peccato che sia stata inefficace se non addirittura ininfluente. Il rimpasto sarebbe stato un’ottima occasione di riscatto, ma rimpiazzarla avrebbe significato prestare il fianco al grande risultato ottenuto nelle urne da Edy Tamajo, recordman di preferenze, sponsorizzato da Totò Cardinale: guai a far crescere in casa un potenziale nemico di domani. Non se n’è fatto nulla. Così Schifani ha cercato di toccare il meno possibile, continuando a circondarsi di potenziali alleati (o yes man?) per alimentare il suo percorso dell’illusione del consenso.
La scelta di Dagnino, degna sotto il profilo delle abilità e della preparazione, va in questa direzione. La conferma della Volo idem. L’orientamento ad assumere un altro tecnico, Salvatore Barbagallo, per l’Agricoltura, depone a favore di questa visione un po’ feudale. Si tratta del fratello del sindaco di Acireale (di Forza Italia) che è già stato collaboratore di Luca Sammartino. E’ un’espressione diretta del deputato leghista, che ha dovuto dimettersi dall’incarico a causa della sospensione dagli incarichi pubblici, che il Tribunale di Catania non ha cancellato. Schifani ha mantenuto l’interim per alcuni mesi, ma a breve dovrebbe rinunciare: non può farcela a gestire i morsi della siccità.
Il rimpasto si è ridotto a un turnover, senza neppure pensare a un rimescolamento delle deleghe. Ed è costato persino il rinvio, di almeno dieci giorni, della manovrina che Schifani aveva immaginato per dare respiro ai 70 parlamentari imprigionati fra le mura di Palazzo dei Normanni, in attesa delle sospirate vacanze. Si pensava avessero a disposizione un bel gruzzolo da spendere in feste e sagre (le cosiddette mance). Ma gli stessi inquilini della giunta, con Schifani in testa, hanno firmato emendamenti per assicurarsi 140 dei 160 milioni a disposizione, costringendo gli onorevoli e pietire i pochi spiccioli rimasti. E’ questo il potere degli assessori, compresi coloro che sembravano avere i giorni contati.
Uno di essi, l’autonomista Di Mauro, sembra addirittura in pole position per diventare vicegovernatore, un posto – anche quello – lasciato libero da Sammartino. Fino all’altro ieri Di Mauro era a un passo dalla dismissione, con la “s” in mezzo, poiché Schifani non tentennò un minuto per scaricargli addosso la responsabilità di aver fatto chiudere la discarica di Lentini. Tutto dimenticato. Oggi, grazie alla sponda di Lombardo e al risultato ottenuto dalla Chinnici, aspira a un upgrade. L’altra imputata eccellente, invece, è Elena Pagana: Schifani doveva trovare un motivo per farla fuori e, forse, c’è riuscito. Anche se è chiaro che il passo di lato dell’assessore al Territorio e Ambiente arriva dopo il pass ottenuto dal marito Ruggero Razza in Europa, dal momento che Fratelli d’Italia – l’unico partito a godere di un margine d’autonomia rispetto alla deriva centralista del governatore – deve ristabilire alcuni equilibri e riscattare la profonda delusione inflitta a Giusi Savarino, che peraltro è già stata presidente della commissione Ambiente all’Ars, con le nomine di due anni fa.
Quel poco che si muove non è figlio della ponderazione e della strategia, ma del calcolo politico. Riempire il governo di tecnici, logicamente affiliati al “capo”, è un modo per dare al presidente della Regione la possibilità di controllare in lungo e in largo le decisioni assunte dagli assessorati e dai dipartimenti, per limitare le cadute dal pero, per evitare il dissenso dei partiti. Ognuno continuerà ad amministrare i rami che gli competono – compresi il Mpa di Lombardo e la DC di Cuffaro – in questo galleggiamento che non prevede picchi o riforme. C’era in programma un rimpasto, ma non è stato neppure un rimpastino. L’unico modo per garantirsi l’autoconservazione era fare finta.