Se il rimpasto diventerà un “rimpastino”, o un semplice “tagliando” (per usare un’espressione di derivazione musumeciana), sarà per un motivo: Schifani vuole evitare le manie di grandezza di Edy Tamajo, confermato assessore alle Attività produttive, che però sognava un upgrade, magari alla Sanità. Sotto l’ala protettrice del governatore, invece, dovrà accontentarsi di qualche anno ancora di purgatorio, sospeso fra le ineffabili doti elettorali (121 mila preferenze alle Europee) e il sogno di potersi candidare alla presidenza della Regione.
Ma c’è anche un altro aspetto: Schifani non è intenzionato a concedere alcuna opportunità alle “vedove” di Marco Falcone: l’assessore all’Economia, che a metà luglio sarà proclamato parlamentare europeo, a stento potrà cedere il seggio dell’Ars a Salvo Tomarchio, assessore al Comune di Catania; ma non avrà alcuna voce in capitolo rispetto alla scelta del suo successore in Via Notarbartolo. Anzi, pare che il mestiere prediletto di Schifani sia bruciare le candidature che provengono da quell’area, congelando la crescita di Forza Italia: sia Stefano Pellegrino (attuale capogruppo di Forza Italia all’Ars) che Giovanni La Via, ex eurodeputato vicino a Falcone, sono stati scartati sul nascere.
Schifani, per evitare che il suo partito diventi anche di qualcun altro, preferisce rifugiarsi nei tecnici. E non è neppure la prima volta. Già all’indomani delle Regionali vinte a settembre 2022, ruppe con Micciché per evitare di dovergli consegnare l’assessorato alla Salute, che l’ex presidente dell’Ars avrebbe voluto guidare personalmente o, tutt’al più, affidare a qualcuno dei suoi seguaci. Così tirò fuori dal cilindro l’esperimento più nefasto, in grado di scontentare tutti, strappando alla meritata pensione l’ex direttore sanitario del Policlinico di Messina, Giovanna Volo. Una scelta da cui Schifani non riesce a tornare più indietro. Per lo stesso motivo di cui sopra: liquidare la Volo significherebbe sconfessare se stesso, ma soprattutto mettere in palio una casella ambitissima, che Tamajo potrebbe utilizzare come leva per avvicinarsi a Palazzo d’Orleans. Non se ne parla.
La permanenza della Volo a Piazza Ziino è propedeutica a una strategia che non prevede alcun piano-B. Non lo è mai stata (realmente) Caterina Chinnici, che lo stato maggiore di FI, a partire da Tajani, voleva a Bruxelles; e anche i nomi di Daniela Baglieri (già vista ai Rifiuti con Musumeci) e Barbara Cittadini, presidente di Aiop Sicilia, rimangono sullo sfondo. Non sono donne di partito – anche se la Baglieri, dopo la militanza con l’Udc, si è presentata alle elezioni con FI, ottenendo un risultato assai scarno – ma “tecnici”. Da quel sottoinsieme non si scappa. Ed è lo stesso sottoinsieme a cui Schifani vuole ricorrere per scegliersi l’assessore all’Economia, che dovrà essere riassegnato a breve (assieme a quello al Territorio, dov’è prevista la staffetta fra Elena Pagana e Giusi Savarino).
Il bilancio, però, non andrà a Gaetano Armao, il cui nome è stato accolto con una certa freddezza (per usare un eufemismo). Le ultime indiscrezioni emerse dal pezzo di Mario Barresi su ‘La Sicilia’, parlano della suggestione Maurizio Graffeo. Classe 1950, ex presidente della Sezione di Controllo della Corte dei Conti, attuale componente della Commissione paritetica per le norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana (nominato dal governo centrale), Graffeo è un uomo di indubbio spessore, che però soggiace a un raffinato calcolo politico. Cioè appannare i dissidi sempre latenti fra Gaetano Armao, esperto alle questioni extraregionali e presidente della Cts, oltre che pregiatissimo consigliere del governatore, e la procura della Corte dei Conti guidata da Pino Zingale. Il collegamento fra Schifani e i magistrati contabili è dato dalla figura di Armao: non tanto e non solo per l’attuale incarico rivestito a Palazzo d’Orleans, apparentemente marginale, quanto per i trascorsi.
Zingale ha sottolineato con la matita blu le possibili conseguenze provocate sui conti della Sicilia dal nefasto rendiconto 2020, con Armao assessore, non parificato dalla Corte dei Conti (caso più unico che raro), sebbene Schifani e Falcone si affannassero a dire il contrario. “Appare evidente che per un certo periodo la Regione ha speso somme delle quali non aveva la giuridica disponibilità, dovendole, invece, destinare al ripiano del disavanzo”, ha sostenuto Zingale nella sua relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Avere cristallizzato “una fattispecie di mala gestio delle finanze regionali” ha affermato il magistrato contabile, “impone a questa Procura i necessari accertamenti al fine di verificare la sussistenza o meno di eventuali responsabilità amministrative connesse alla constatata artificiosa dilatazione del potere di spesa”. Una delle altre questioni in sospeso con la magistratura contabile riguarda il procedimento su SeeSicily, a causa degli enormi sprechi fatti rilevare (anche) dalla Commissione Europea. In questo caso la Procura ha aperto un fascicolo per appurare eventuali responsabilità erariali relative al buco da 10 milioni che nel frattempo sono diventati una ventina.
Insomma la scelta di Graffeo, sempre che venga confermata e che il diretto interessato non si smarchi, sarebbe un segnale di distensione da parte del governatore nei confronti dei giudici, nonostante i rapporti tesi di questa prima parte della legislatura. Anche la sospensione della parifica del 2021 – a causa della pendenza di un giudizio di costituzionalità sulla spalmatura del disavanzo in dieci anni anziché in tre – non era andata giù al presidente della Regione, che il 25 novembre scorso tuonava: “La sentenza odierna, seppur incomprensibile e non condivisibile, è priva di effetti finanziari e infondata sotto il profilo giuridico”. La Corte dei Conti in speciale composizione ha poi accolto il ricorso presentato dall’avvocato Dagnino, determinando la necessità di un nuovo giudizio.
Questo dovrebbe entrarci poco o nulla con le dinamiche del rimpasto, o del “rimpastino”, ma offrono uno spaccato sulla strategia adottata (o anche solo pensata) e sull’opportunità politica di avanzare determinati nomi. Una cosa è chiara: per evitare di finire nella bolgia dei partiti, Schifani preferirebbe di gran lunga ritrovarsi con una giunta di tecnici (altro che di “soli eletti”, come affermato all’atto dell’insediamento), almeno nelle posizioni chiave. Non determinerebbero l’indirizzo politico e non potrebbero condizionarlo più di tanto in vista dei futuri snodi di potere.