Non esiste altra parola al di fuori di “siccità”. L’emergenza idrica è entrata nell’agenda del governo regionale e, ad oggi, sembra l’unica fra le preoccupazioni di Schifani. Che dopo aver “minacciato” di destituire i manager (inadempienti) della sanità e aver accolto di buon grado la legge sull’autonomia differenziata, è impegnato a spronare la Cabina di Regia – costituita da lui stesso – per risolvere gli enormi problemi che attanagliano agricoltori, allevatori e cittadini comuni, con ricadute anche sul turismo. Ma anche sulla siccità – è la scoperta di questi giorni – ci si è svegliati tardi. Nel senso che non basta tamponare con altri voucher, come quelli per l’acquisto di foraggio, o con la richiesta dello stato d’emergenza (che porterà in dote una ventina di milioni per l’acquisto di autobotti). Si sarebbe dovuto intervenire prima, in profondità, per rafforzare il sistema delle dighe che in Sicilia versano in uno stato pietoso. Sono quasi tutte vuote.
Ma non perché non piove (ed è questa la novità), tutt’al più perché sono inadeguate e non si riesce a utilizzarle. Secondo i dati forniti dall’Istat, in collaborazione con Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ogni anno in Italia piovono circa 300 miliardi di metri cubi d’acqua, o poco meno. Eppure ne preleviamo appena 34 miliardi, cioè l’11% del totale disponibile. L’altra nota a margine è che a Palermo cadono 900 millimetri di pioggia l’anno: che ci crediate o meno, più che in alcune capitali europee come Londra o Berlino (tra le meno rinomate per il clima mite). Questa idiosincrasia è stata fatta rilevare all’Huffington Post da Erasmo D’Angelis, giornalista, ex sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e soprattutto già numero uno di ItaliaSicura, la struttura di missione voluta dal governo Renzi per combattere il dissesto idrogeologico.
“Non si può quindi paragonare l’Italia, come sento spesso fare a volte, a un paese africano in termini di scarsità di piogge. Da noi, molto semplicemente, viene sottovalutata l’importanza delle reti idriche nei bilanci dello Stato e delle Regioni. Si investe puntualmente molto di più per reti stradali, autostradali, ferroviarie, digitali, delle telecomunicazioni – dice De Angelis -. Ma non su quelle idriche. Ed è proprio la Sicilia la fotografia dell’Italia che non investe sull’acqua”. Eppure, qualche giorno fa, la Regione è tornata alla carica – questa volta con il Ministero della Sovranità alimentare – per “il riconoscimento della condizione di forza maggiore e di circostanze eccezionali dal primo luglio 2023 a maggio 2024” che, una volta accertate, “consentirà alle imprese agricole e zootecniche che operano su tutto il territorio siciliano di usufruire di deroghe in alcuni ambiti della Politica agricola comune, che permetterebbero di non applicare determinati vincoli a pascoli e terreni, continuare a godere di aiuti, rinviare pagamenti, sanzioni e oneri”.
Nella richiesta inoltrata al ‘carnefice’ Lollobrigida – fu proprio il ministro di FdI, durante un question time al Senato, a dichiarare che “per fortuna quest’anno la siccità colpisce molto di più le regioni del Sud e in particolare la Sicilia” – Schifani evidenzia inoltre come “la riduzione delle risorse idriche negli invasi e un contesto generale che pone la Sicilia in “zona rossa” per carenza di acqua al pari di Marocco e Algeria. Una situazione aggravatasi nelle ultime settimane a causa dell’indisponibilità nei bacini di acqua per l’irrigazione”. Ma il Marocco e l’Algeria, stando ai rilievi di D’Angelis, non c’entrano nulla con la Sicilia. Né per storia e tanto meno per precipitazioni piovose.
I dati Istat-Ispra, infatti, riportano come la Sicilia abbia un fabbisogno idrico annuale pari a 1,75 miliardi di metri cubi. Eppure, nel solo 2023 sono piovuti sull’isola ben 25 miliardi di metri cubi. “L’acqua non viene raccolta e vediamo le pecore costrette a bere fango perché su 26 grandi dighe controllate dalla Regione, i dati del ministero delle Infrastrutture ci dicono che tre sono fuori esercizio, cinque sono sottoposte a limitazioni per la sicurezza, e dieci sono in attesa di collaudo da decenni. Le altre sono infangate, invasi per metà bloccati da sedimenti o per addirittura i due terzi”. “Da questo punto di vista”, continua D’Angelis, “sono ancora al Medioevo”. Purtroppo è lì che si va a parare sempre: l’inefficienza della politica e la mancata programmazione, che non basterà una serie di interventi invocati dalla Cabina di Regia a mascherare. E’ così e basta. E chi gioca a tamponare l’emergenza, con soluzioni cervellotiche, non rende un buon servizio al futuro di agricoltori e allevatori.
Che oggi, magari, potranno acquistare il foraggio con più facilità, o continueranno a ricevere i contributi anche in assenza di produzione. Ma domani? Anche dall’intervista di Dario Cartabellotta a Live Sicilia emerge un quadro disarmante: “Negli ultimi 100 anni non si era mai visto qualcosa del genere – ha detto il direttore del Dipartimento Agricoltura -. Stiamo cercando di intervenire con un piano straordinario di interventi in modo che gli agricoltori possano dotarsi di pozzi, laghetti e riuso di acque reflue per contrastare, negli anni che verranno, circostanze come quelle attuali. Su questo c’è già una proposta del governo Schifani da 20 milioni di euro, andata in commissione Bilancio”. Venti milioni che si aggiungono ai venti già previsti dal governo centrale a seguito della dichiarazione dello stato d’emergenza. E ai novanta fissati dall’Accordo di Coesione fra Roma e Palermo, a valere sui fondi europei di Sviluppo e Coesione (con cui si prevede la riattivazione dei dissalatori).
Ieri, intanto, la Cabina di regia per l’emergenza idrica ha esaminato la situazione nell’Agrigentino, uno dei territori siciliani più colpiti dalla siccità. Dei primi 20 milioni di euro stanziati dal governo nazionale, la Regione ne ha destinati ad Agrigento circa 6 per pozzi e condutture. “Nel corso della riunione – si legge in una nota di Palazzo d’Orleans – è stata ribadita la necessità di procedere immediatamente all’esecuzione di quegli interventi a breve termine che garantiranno un maggiore rifornimento di acqua, scongiurando così il peggioramento dello scenario in piena stagione turistica”. Ma siamo ancora alle briciole rispetto a un piano d’investimenti complessivo, per tutte le province, tarato su oltre 700 milioni. Intanto scappano anche i turisti, che dopo aver convissuto per qualche estate di seguito con gli incendi, non si sognano di morire di sete. E fanno partire le disdette delle prenotazioni.
“Ricordo ancora quando nel 1975, mi recai per conto del Manifesto, per un servizio sulla siccità siciliana, in alcuni paesini tra il palermitano e il trapanese – conclude nel suo racconto D’Angelis -. La gente qui aveva accesso all’acqua dai rubinetti solo per due ore la settimana e in quelle due ore riempivano a volontà tutti i contenitori che trovavano. Sono tornato in Sicilia un mesetto fa, dalle parti del trapanese ma anche vicino Agrigento: non è cambiato nulla. Ci sono ancora razionamenti e la gente, seppur con contenitori più evoluti, ad esempio sui tetti, è costretta alla stessa routine”. Cinquant’anni e non sentirli.