Per Totò Cardinale, intervistato da ‘La Sicilia’, è come se Schifani avesse fatto un capolavoro. Perché è il “fautore di questo modello di aggregazione” capace di dare al partito il 24 per cento (quasi). Ma più che altro – anche se questo Cardinale non lo dice – per aver creato un “mostro”: cioè il suo allievo Edy Tamajo, capace di agganciare 122 mila preferenze, il seggio a Bruxelles e, nel frattempo, farsi spazio a gomiti larghi nel partito. Nella vittoria di Tamajo e di Cardinale, e nelle lodi sperticate nei confronti del governatore, c’è qualcosa di altro e di diverso rispetto a un semplice encomio. C’è la volontà di mettere il carro davanti ai buoi, di lanciare un avvertimento bonario (per ora), di coltivare le ambizioni. E Tamajo di ambizioni ne ha tante: la prima potrebbe essere l’assessorato alla Sanità, il prossimo la presidenza della Regione.

Forza Italia, come emerge dall’intervista di Cardinale con Mario Barresi, è un partito “contendibile” e non più leaderistico, dove ci si dovrà abituare a una competizione perenne e a un correntismo che rischia di diventare come quello che in Sicilia ha distrutto il Pd (che ancora ne risente). E se Schifani contende a Tajani la “guida” del partito siciliano, Falcone contende a Tamajo quella di Mr. Preferenze. Quello autentico, s’intende. L’assessore all’Economia, infatti, è reduce da un’affermazione clamorosa, con oltre 100 mila preferenze che gli hanno garantito l’elezione a Bruxelles. Ma il ragionamento dei supporter falconiani è che i voti dell’assessore siano puliti e bianchi come il latte, incontestabili e privi di “aiutini”. Insomma, voti di Forza Italia.

Mentre per quelli di Tamajo c’è la ragionevole certezza che non siano soltanto preferenze di Tamajo, di Schifani o Cardinale (il cui movimento, Sicilia Futura, è transitato nei berluscones ormai da qualche anno): una grossa fetta apparterebbero a Totò Cuffaro. Molti della DC, sui territori, si sono spesi apertamente per l’assessore alle Attività produttive, pur dovendo privilegiare il candidato di bandiera Massimo Dell’Utri. Ad esempio, il presidente della I Commissione parlamentare dell’Ars, Ignazio Abbate, ha pubblicamente elogiato il risultato di Tamajo in provincia di Ragusa, con 6.707 preferenze, mentre a Dell’Utri ne sono toccate 2.870 (e per lui neppure un ‘bravo’). Questo significa che scorporando le preferenze di Forza Italia da quelle “ospiti”, scomponendo e ricomponendo le terzine provincia per provincia, il risultato di Tamajo e quello di Falcone potrebbero (almeno) equivalersi. Ed è questo il motivo per cui la minoranza di Forza Italia, che è spalleggiata dal segretario nazionale Tajani, non ha alcun interesse a cedere posizioni nel governo e nel partito, aspirando a pari dignità e considerazione.

Insomma se Tamajo è “un centravanti di sfondamento”, Falcone non può essere relegato a un semplice “mediano di spinta”. Merita – almeno – il ruolo di seconda punta. Nel gioco d’incastri post-voto, bisogna tener conto anche delle esigenze di Caterina Chinnici e di Raffaele Lombardo. Ma nell’orizzonte forzista, sempre che non si finisca per rivangare l’esperimento di una nuova casa dei moderati, rimarranno soltanto due anime a confrontarsi: Schifani versus Tajani; Tamajo versus Falcone. Il sottilissimo equilibrio si spezzerà nel prossimo luglio, quando verranno proclamati gli eletti a Bruxelles e si darà vita al rimpasto della giunta: nel frattempo Cardinale & Co., puntando su Schifani, inizieranno a reclamare spazio e responsabilità non indifferenti: “Tamajo a Bruxelles? Deve riflettere anche in ragione del rapporto col territorio e su come mantenerlo forte com’è oggi – è il consiglio di Cardinale – Edy è un uomo del popolo e magari soffrirebbe chiuso a Bruxelles dal lunedì al venerdì”. In un’altra intervista a Repubblica l’ex ministro delle Comunicazioni è persino più esplicito: “La sua candidatura non è nata per portare il nostro centravanti di sfondamento in Europa”.

Parafrasando: meglio che resti. Così, ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost. Al netto delle citazioni cinematografiche, Tamajo potrebbe guadagnare più visibilità e potere da un nuovo incarico di governo (magari la sanità) che non trasferendosi nel cuore dell’Europa, lontano dagli occhi e dal cuore degli amici di Mondello. Restare, invece, gli consentirebbe di continuare a scalare il partito, di spalancare le porte del carro a nuovi simpatizzanti o semplici avventori, di stringere accordi e mettere serie ipoteche sul futuro. Perché basta rileggere in controluce Cardinale per giungere dritti al cuore della vicenda: “C’è Schifani e ci sarà ancora se lo vorrà. Ma quando verrà il suo momento, Tamajo potrà dire: io ho già fatto un bagno elettorale. Il talento emerge e va premiato”. Tre anni – quelli che ci separano da qui alle Regionali – possono bastare per un upgrade. Anche se è sempre meglio rigare dritto e tenere a bada le pulsioni del presidente Schifani. Il quale, come si sa, ha il suo bel caratterino. Oggi gli vuol bene (a Tamajo), domani chissà…