Il Movimento 5 Stelle in fase di riorganizzazione ha scelto la punta di diamante da cui ripartire: si tratta di Alfonso Bonafede, che andava certamente premiato dopo la mirabile riforma della prescrizione, che persino i partiti interni all’alleanza di governo contestano (Italia Viva su tutti). Così il Guardasigilli è stato promosso capo delegazione presso il governo Conte. Il Ministro, originario di Mazara del Vallo, vanta ottimi rapporti con Luigi Di Maio, che qualche giorno fa si è dimesso da capo politico ma il cui parere all’interno del M5s conta ancora molto (eufemismo), ed eccellenti uffici con Giuseppe Conte, di cui è stato assistente all’Università di Firenze. Insomma, il reggente Vito Crimi non ha potuto far altro che approvare la scelta e mandare Bonafede in avanscoperta, preferendolo ad altri candidati come il filo-piddino Stefano Patuanelli e il Ministro dello Sport Spadafora.
Dietro la scelta ci sarebbe la manina di Luigi Di Maio, che non ha partecipato all’assemblea congiunta, ma che resta sullo sfondo rispetto alle decisioni del Movimento 5 Stelle, pronto ad avanzare la propria candidatura a capo politico – così sostengono i bene informati – all’indomani degli Stati Generali che verranno celebrati a marzo. Gli altri concorrenti al momento si nascondono. Alessandro Di Battista è in Iran, Paola Taverna e Roberto Fico non sono interessati al giochino delle correnti, e Stefano Buffagni cerca un risultato di prestigio al Nord prima di poter scalare i grillini dall’interno. Per il resto, non è che ci sia questa gran fila. A tenere sulle spine i Cinque Stelle, in questi giorni, c’è anche la decisione di Nicola Morra, il presidente della commissione parlamentare Antimafia, a non sostenere nella sua Calabria il candidato Francesco Aiello (avendo notato qualcosa di lontanamente immorale nelle liste).
Mentre in Sicilia, con il gruppo all’Ars destinato a sgretolarsi, sembra siglata la pace tra le due fazioni – oltranzisti e responsabili – che al termine di una riunione-fiume di sei ore hanno deciso di rimanere insieme (evitando, però, nuove uscite sulla stampa). Più che una pace, però, somiglia tanto a una tregua armata.