Il 2024 per la politica siciliana è un anno di impegni ma soprattutto di scadenze. Bisognerà versare a Fitto il primo assegno per la realizzazione del Ponte sullo Stretto (il Ministro, con la rimodulazione dei Fondi di sviluppo e coesione, ha quantificato la rata: 103 milioni a valere su Sicilia e Calabria). Ma soprattutto, Schifani & Co. dovranno incominciare a dare forma ai sogni: l’obiettivo è approvare la prima riforma della legislatura (due le norme già “candidate”) e aggiornare il Piano dei Rifiuti che consenta, a stretto giro, di avviare l’iter per la costruzione di due termovalorizzatori. L’assessore Di Mauro ha promesso che sorgeranno prima del 2027, ma è necessario occuparsene da subito.
Senza voler guardare troppo oltre, però, il 2024 parte da una certezza in più: aver scongiurato l’esercizio provvisorio. L’8 o il 9 gennaio, infatti, sarà approvata a Sala d’Ercole la Legge Finanziaria. In questi giorni si sta lavorando al maxi emendamento che verrà svelato ai deputati subito dopo l’Epifania. L’assessore Falcone ha chiesto ai gruppi, specie alle opposizioni, di mettere prima al sicuro l’impianto della manovra e poi dedicarsi al resto. Ma con la metà degli articoli già approvati, è battaglia per assicurarsi il tesoretto finale: ballano fra i 10 e i 15 milioni di euro. Le opposizioni, loro malgrado, si sono prestate al giochino, garantendo al governo tempi celeri. Adesso bisognerà trovare la quadra. Poi arriverà il momento della medaglietta al collo (di Falcone). Il nuovo corso, infatti, sarà il primo (dai tempi di Cuffaro) a chiudere la Legge di Stabilità nei tempi previsti. Seguiranno – è assai probabile – collegati e assestamenti di varia natura, ma entro il primo mese del nuovo anno il grosso del lavoro sarà alle spalle. Magari ci saranno poche norme legate allo sviluppo e alle prospettive della Sicilia, ma a questa classe politica non si possono chiedere i miracoli.
Gennaio resta comunque un mese caldo, perché il 31 scadono le proroghe ai commissari delle Asp. La maggior parte di loro saranno rimasti in carica otto mesi in più delle previsioni. Grazie a una politica che, scientemente, ha rinviato la resa dei conti. Bisognerà spartirsi 18 poltrone, ma trattandosi di un giochino di potere che ha validità per i prossimi tre anni (tanto durano gli incarichi dei direttori generali), nessuno è disposto a sacrificarsi in nome di qualcun altro. Non basta neppure il manuale Cencelli, giacché tra Schifani e Lombardo sono nate divergenze sul metodo da adottare: il primo pretende che la scelta maturi nella rosa ristretta dei “maggiormente idonei” (47), così com’è stata battezzata dalla commissione che ha passato al setaccio i candidati in sede di colloquio; l’ex governatore, invece, pretende che rimangano i ballo tutti gli 87 “idonei”, giacché la scelta della politica è di carattere discrezionale e territoriale: chi va bene per l’ASP di Palermo non è detto che possa funzionare a Enna. Cuffaro, accusato di mercanteggiare sui direttori generali, ha provato a tirarsi fuori dalla polemica proponendo un sorteggio al termine di una prima scrematura. Una ipotesi che gli alleati non hanno mai considerato (significherebbe perdere il controllo).
L’ipotesi che si fa spazio in questi giorni, però, è che le nomine potrebbero tardare ancora. Non di uno, bensì di cinque o sei mesi, finché non si sarà determinato il nuovo quadro politico. Che dipende in larga parte dalle Europee. Il piazzamento dei partiti a Bruxelles, e l’elezione di 8 rappresentanti del collegio Sicilia/Sardegna, è certamente l’obiettivo prioritario. Nel tutti contro tutti di questi mesi, solo Lega e Autonomisti sembrano aver sancito un accordo: la nuova federazione fra Salvini e Lombardo, infatti, permetterà al Mpa di avere un candidato di peso e contribuire al rafforzamento della lista del Carroccio. Poco probabile che quel candidato sia lo stesso Lombardo. Le altre possibili alleanze, invece, si scontrano su alcuni veti: quello di Tajani sulla presenza di Totò Cuffaro, ha allontanato la Dc da Forza Italia. Il vicepremier preferisce la figura di Caterina Chinnici, già incoronata sull’altare dell’antimafia. La candidata del leader democristiano, Francesca Donato, potrebbe finire nella lista di Italia Viva con Renzi. Che invece è stato scaricato da Cateno De Luca dopo lo “scippo” della senatrice Musolino. Scateno continua a dimenarsi fra due opzioni: una è Calenda, l’altra un accordo precursore con Pd e M5s. A quest’asse si lavora soprattutto in vista delle prossime Regionali.
Non è rimasto molto tempo per i calcoli. Ma questi mesi saranno fondamentali anche per la ripartenza dei concorsi. Mamma Regione, grazie alla conclusione dell’Accordo con il Ministero dell’Economia, torna ad assumere. L’obiettivo è quello di reclutare 750 dipendenti in tre anni, anche per ovviare ai pensionamenti che, specie per il comparto non dirigenziale, stanno diventando massacranti. Salutando il primo giorno di lavoro dei nuovi assunti nei Centri per l’Impiego, il 6 dicembre scorso, Schifani ha spiegato che “la stagione dei concorsi alla Regione non finisce oggi. Con la firma dei neo assunti si chiude la partita per quest’anno, ma è una grande goccia di una vasca che va ancora riempita perché l’amministrazione regionale conta di reclutare nuove risorse umane. Abbiamo bisogno di giovani e di ulteriori professionalità tecniche nei prossimi anni e lo potremo fare perché siamo riusciti a rivedere l’accordo con lo Stato. Servono nuovi dipendenti, competenti e motivati, da impiegare negli uffici rimasti in sofferenza. Abbiamo il dovere di garantire un ricambio generazionale dell’organico e rendere più funzionale la macchina amministrativa in modo efficiente e produttivo nell’interesse della collettività”. La speranza è che i concorsi non seguano la falsariga di quello per i 46 agenti forestali, annullato a seguito di uno scandalo che ha coinvolto l’ex dirigente del Corpo (era stato lui a indicare i componenti della commissione che giudicò anche il figlio, primo in graduatoria).
Il 2024 sarà l’anno buono per misurare l’impegno della Sicilia anche in materia di rifiuti. Il percorso che porta alla realizzazione di un paio di termovalorizzatori, già interrotto da Musumeci, non ha spiccato il volo col nuovo corso. Il Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin non ha mantenuto la promessa, privando Schifani dei cosiddetti “poteri speciali” assegnati invece al sindaco di Roma Gualtieri. La Regione dovrà muoversi per le vie ordinarie: il primo obiettivo è consegnare il nuovo Piano regionale dei rifiuti entro gennaio. Da quel momento, come emerge da un colloquio de ‘La Sicilia’ con l’assessore Di Mauro, “potrà iniziare il suo iter vero e proprio: parere della Cts, apprezzamento della giunta, procedura Vas (Valutazione ambientale strategica) con un’altra consultazione pubblica, parere motivato con decreto assessoriale di Vas, “pacchetto” di atti all’Autorità ambientale, pareri della commissione Ambiente dell’Ars e dell’Ufficio legislativo della Regione, trasmissione al Cga per un altro via libera e infine delibera di giunta e decreto finale del presidente della Regione”. A leggerla così sembra un’impresa titanica, ma l’assessore autonomista – che non è mai stato un grande sponsor degli inceneritori – assicura che entro luglio le carte dovrebbero essere a posto.
Per l’estate, inoltre, l’obiettivo è assistere inoltre alla prima riforma del governo Schifani, che fin qui ha riempito i taccuini di annunci di guerra (come sul caro-voli), buoni propositi e false speranze. L’ultima legge approvata in commissione Affari istituzionali, che sembra aver riscontrato l’interesse di maggioranza e pezzi dell’opposizione, è quella relativa alle ex province e alla reintroduzione del voto diretto. Nella proposta che dovrà finire al vaglio della commissione Bilancio, e poi dell’Ars, non c’è alcun riferimento alla data del voto: bisognerà prima attendere l’abrogazione della Legge Delrio da parte del parlamento nazionale. Ci saranno trecento poltrone in più, e tanto basta per tenere accesa la fiammella della speranza.
Nelle more, ci si potrebbe avventurare con la riforma dei Consorzi di bonifica (giusto per citare quella meglio avviata): il disegno di legge – comunicava Palazzo d’Orleans l’11 ottobre scorso – “ha rivoluzionato il sistema, prevedendo la riduzione da tredici a quattro consorzi di grandi dimensioni. I nuovi organismi saranno individuati sul principio dell’omogeneità dei bacini idrografici, in una logica di miglioramento dei servizi agli agricoltori, ma soprattutto di ammodernamento dell’infrastrutturazione irrigua. La proposta legislativa interviene inoltre sulla governance, restituendo centralità al ruolo degli agricoltori dopo anni di assenza dalla gestione dei consorzi”. Bisogna passare dalla proposta all’azione o tutto si ridurrà alla solita aria fritta. L’anno che sta arrivando – per citare Lucio Dalla – tra un anno passerà.